Un animo inquieto non lo puoi sedare. Sorseggio il mio caffé e ripenso alla conversazione di una settimana fa con una amica, anche lei coach. Parliamo dell’essere inquieti, della nostra percezione e di quella degli altri. Io ipotizzo un elogio dell’inquietudine, ma lei risponde: “l’ha giá scritto Pessoa”, e mi incuriosisce.

Come in molte sessioni di coaching, é una questione di prospettive. Chi viene definito “inquieto” non sempre si ritrova in questa definizione; piuttosto si presenterebbe come in movimento, alla ricerca, come slancio verso lo sconosciuto, in apprendimento quotidiano, curioso… e molto altro ancora. Per chi guarda agli “inquieti”, questa parola porta alla mente concetti come ansia, dispersione, indecisione, fragilitá, agitazione, incompletezza. Quando definiamo gli altri, a volte, intravediamo le nostre paure.

E allora lei ed io ci chiediamo se é necessario galleggiare tutti in una terra di mezzo, su un pre-confezionato equilibrio. Noi preferiamo l’idea del coraggio, del lasciare a ciascuno la sua vitalitá, nella forma che ha. La diversitá spesso spaventa, mostrandoci quello che non siamo; ma é cosi ricca, stimolante, allegra… e in fondo basta guardarci dentro per scoprire che é innocua.

Scrive Fernando Pessoa: “Per arrivare all’infinito, e credo vi si possa arrivare, abbiamo bisogno di un porto, di uno soltanto, sicuro, e da lì partire verso l’indefinito.”

A chi vuol partire, buona ricerca 🙂